Una storia di famiglia, una storia di emigrati, attraverso la storia di una casa.

“La casa dell'americano”

di  Alberto Garambone

La cosiddetta “casa dell’americano” sorge nel centro storico di Aliano, in quella che fu al tempo del confino di C.Levi, la periferia est del paese. Infatti, in quel periodo la casa era tra le poche esistenti in quell'area e Levi vi passava quasi ogni giorno davanti dirigendosi verso il “timpone”.

 

La casa , costruita tra il 1931 ed il '33 da Luigi Martelli, l’americano, è una palazzina a struttura muraria in pietra a due livelli e si apre, sull’attuale Via Martiri d’Ungheria, con un bel portale in pietra dai caratteristici bassorilievi e dal portone in quercia anch’esso con dei bei bassorilievi e maniglie di ottone . Inaugurata nella Pasqua del 1933 e precisamente il 12 Marzo '33, la casa già aveva un impianto elettrico per piccole utenze e l’illuminazione di ogni stanza (ancora oggi funzionante in parte), arricchita da lampadari in ferro battuto di fattura napoletana e mobili intarsiati stile tardo Liberty.

  

Inaugurazione della casa

Moglie dell'Americano

Dettaglio di uno dei mobili d'epoca della casa

  

Luigi Martelli era stato in America del nord, a New York precisamente, dove aveva lavorato facendo ogni mestiere e sacrificandosi per più di vent’anni ed era rientrato ad Aliano, come tanti dei suoi compaesani ed amici, allo scoppiare  dell’infausta crisi del 1929.   

  

L'americano in viaggio per New York

Il passaporto

  

Con i risparmi di una vita pensò di metter su famiglia, sposandosi nel 1931 con Donata Garambone, di famiglia modesta e numerosa, (d’altronde com’era anche la sua di famiglia) ed  iniziò a costruire la casa nello stesso 1931, acquistando un suolo nelle immediate vicinanze della Cappella di San Luigi Gonzaga, protettore di Aliano e del corso principale del paese;  acquistò anche un piccolo podere, ancora posseduto, insieme alla casa, dalla nostra famiglia, in località “Vaccarrone”, costituito da oliveto, vigna e piante di mandorle e fichi in abbondanza. Insomma, la sua vita cambiò profondamente e finalmente poté godersi un po' di meritata  serenità ed avere rispetto da tutti nel paese.

La vita dell’americano venne così ad essere regolata dalle stagioni e sostenuta, in parte, dai prodotti del piccolo fondo; in casa, poi, ogni cosa era gestita in maniera semplice ed autorevole dalla moglie Donata, cresciuta ai rigori di una famiglia, come già detto, numerosa e patriarcale. Dicevo, la casa era ben organizzata negli spazi e funzionalità e possedeva ogni possibile comfort ed anche di più, rispetto al tenore di vita dell’epoca. Nel piano terra due ampi e luminosi magazzini offrivano la comodità di ospitare gli animali domestici, da cortile e da soma ed, inoltre, ogni spazio necessario alla conservazione e lavorazione delle derrate alimentari: panificazione, conserve d’ogni genere, insaccati, vino, olio, etc ; ovvero vi era una sorta di autosufficienza e di abbondanza, oserei dire ridondante per i consumi di due sole persone; si , perché i due novelli sposi non avevano, ancora, figli; ma di questo ne parlerò dopo. Al primo piano si trovava e tuttora si trova, invece, l’abitazione costituita da quattro ampie stanze totalmente arredate d’epoca gelosamente conservata dalla nostra famiglia e da questo livello si accede, ora ma non all'epoca della costruzione della casa, ad un piccolo ed accogliente giardino che dà sulla strada laterale- Via Mazzini; dallo stesso livello si accedeva e si accede ancora, per mezzo di due rampette di scale, alle due camere del secondo piano in parte arredate con mobili che furono dell’americano e degli attuali proprietari. Questo piano, insieme al terrazzo,  si affaccia sulla vallata ed insieme al sottostante giardinetto, coi  relativi servizi: bagno, cucina, wc secondario, costituisce l’area ospiti dell’attuale casa vacanza.

Ma continuiamo con la storia e gli avvenimenti. Siamo in pieno periodo fascista e gli avvenimenti appunto, insieme alle persone, come succede da sempre, si intrecciano in imprevedibili situazioni.

Il Podestà e maestro elementare, Luigi Garambone, cugino di Donata Garambone, moglie come già detto dell’americano, sposa per procura  Anna Martelli (nella foto qui accanto), nipote di quest’ultimo, nata e residente in N. America.Di fronte ad un fatto così “importante” per la famiglia Martelli e quindi, di conseguenza, per la famiglia Garambone, la casa dello zio americano Luigi Martelli diventa punto di riferimento ed anche di accoglienza per i novelli sposi, non solo dal punto di vista famigliare ma anche istituzionale. Insomma, la casa che si presenta dignitosamente sontuosa e ricca, accoglie le personalità più importanti e prestigiose, diventando un piccolo salotto politico e culturale. Si tengono feste da ballo, accompagnate da musicisti o dal grammofono, La voce del Padrone, ancora funzionante, nella stanza da pranzo e nel salottino stile Liberty.

Purtroppo, questa situazione quasi idilliaca, si modifica ed assume tinte a volte drammatiche; prima tra tutte la politica che a causa dei diversi punti di vista, in parte, divide la famiglia Garambone. I più giovani, seguono il vento del cambiamento e delle grandi promesse, mentre il nonno Antonio Garambone, papà di Donata Garambone, di idee democratiche, anch'egli emigrato in America alla fine dell'ottocento e rientrato dopo aver sposato, sempre in America, l'amata moglie Margherita Cardinale, a volte scacciava i figli accusandoli di fanatismo e di andare, con le loro idee, dritti verso il baratro. Il nonno Antonio, poi, non si limitava semplicemente a contrastare i figli anche con azioni, oserei dire estreme, come bruciare le camicie nere e gli oggetti del regime, ma a suonare, col suo grammofono a corda,  la Marsigliese lasciando aperto il balcone affinché tutti la udissero, durante le assemblee pubbliche e le adunate del sabato fascista. A volte non rispettava neanche le indicazioni del nipote Podestà e usciva dal paese, ignorando i posti di blocco della milizia, sempre durante le adunate pubbliche. Si racconta che un giorno, in periodo di raccolta, a Piazza Garibaldi, prese a pugni un miliziano lasciandolo stordito per terra e proseguendo, poi, il suo cammino verso la campagna.

Di fronte a tale avvenimenti, la zia Donata ebbe sempre di più difficoltà a mantenere saldi i rapporti col padre e incontrava e accoglieva spesso i fratelli facendoli mangiare e dormire nella sua casa.

 

 I fratelli Garambone sul terrazzo della casa

 

A questi eventi difficili si aggiunse la impossibilità di avere figli. La zia Donata ne ebbe a soffrire moltissimo e questa cosa segnò in maniera irreversibile la sua vita e vide naufragare tutte le sue aspettative e speranze. Ogni cosa iniziò ad essere irrilevante ed indifferente, nonostante le attenzioni del marito che non si risparmiava in premure d'ogni sorta, regali e viaggi; la tristezza cominciò a segnare la vita di zia Donata e solo l'arrivo, inatteso ed improvviso, di una giovane donna nella sua casa ebbe a  ridarle un po' di significato e scopo nella sua vita.

Questa giovane donna, Maria Donnadio, sarebbe stata poi mia madre.

Maria Donnadio era figlia di Pierluigi Donnadio, fabbro ferraio di Gallicchio, emigrato negli anni venti in Sud America, precisamente a Buenos Aires e mai più ritornato in Italia. Come si suol dire si era rifatto una vita risposandosi; infatti, la prima moglie, Anna Colaiacovo, morì giovanissima, lasciando le due figlie Maria e Rita alla custodia di alcune zie di Aliano, appartenenti al ceto parentale da parte di madre, i Colaiacovo.Le zie Colaiacovo, per assicurare a Maria un futuro migliore, decisero di darla in custodia a zia Donata, con il previo consenso del nonno Pierluigi; tengo a precisare che i Colaiacavo erano già imparentati con i Garambone e che Maria entra a far parte della famiglia dell'americano in virtù di tali rapporti. Aveva poco più di otto anni ed era piccolina di corporatura e molto timida e remissiva.

Gli anni passano tra mille difficoltà e controversi, come già detto e come in ogni buona famiglia si cerca sempre di superare le avversità, impegnandosi in prima persona e collaborando; così i fratelli Luigi, Nicola e Vincenzo (mio padre), intraprendono ciascuno un mestiere e cercano di essere autonomi ed aiutare, così, la famiglia sempre più numerosa ed affamata; infatti, mio nonno si era risposato accogliendo, in casa sua, altra prole e mettendo al mondo, ancora, altri figli. Ormai a tavola si contavano 14 persone, tra genitori, figli e nipoti lasciati in custodia da altri emigrati della famiglia!

Vincenzo Garambone, mio padre, viene avviato alla bottega di un sapiente calzolaio ed impara con rapidità il mestiere, al punto di aprire una sua bottega a soli 19 anni. Le cose vanno bene per lui ed è, anche,  in grado di aiutare la famiglia, contribuendo alle spese e partecipando, nei momenti della raccolta, al lavoro nei campi. Vincenzo accoglie nella sua bottega amici, conoscenti e confinati politici che a volte si trovano a discutere di tante cose, soprattutto di sport (calcio e ciclismo) e molto meno, però, di politica. Tra questi anche Carlo Levi che ricorre  a  lui per le piccole riparazioni. Vincenzo sogna di andar via, in occasione del servizio militare, per conoscere luoghi e città viste nelle stampe e nelle riviste, tra cui la Domenica del Corriere a cui era abbonato. In una stampa, a doppia pagina, ammira una folla osannante che esulta per la presa di Fiume; vede per la prima volta la città di Trieste e se ne innamora, al punto di desiderare vivamente di andarci, magari un giorno, per compiere il servizio di leva.

Una tragica notte dell'inverno 1935, la sua bottega viene scassinata e vengono sottratti  i risparmi che mio padre conservava in un cassetto con lucchetto. Null'altro viene preso, solo il danaro. Chi aveva compiuto l'atto ignobile, sicuramente, era un frequentatore della bottega e sapeva perfettamente dove era riposto il danaro.

Mio padre cade in depressione e scoramento indicibile. Decide di partire volontario in Africa. Ma la nave sulla quale sarebbe dovuto partire viene affondata. Resta in attesa a Napoli per qualche tempo e, avendo compiuto il 21mo anno di età, siamo nel 1936, viene destinato al servizio di leva. La destinazione è Trieste, incredibile!Vincenzo torna ad Aliano per salutare i parenti e gli amici e si tiene un banchetto a casa della sorella Donata e dell'americano, tra cui Maria che forse già in cuor suo si augurava di rivedere Vincenzo. Non mancano i consigli e l'elargizione di qualche denaro per le spese di viaggio e di prima permanenza a Triste. La sera, prima della partenza, dorme nella casa dell'americano nel salottino, sul divanetto. Si riaccendono le speranze e sogna di ritornare al più presto per riaprire la sua bottega. Ma le cose non vanno proprio così. Ultimato il servizio di leva e dopo un brevissimo periodo di attesa, tra mille difficoltà, soprattutto economiche, scoppia la guerra ed è nuovamente in uniforme, questa volta da artigliere ed inizia il periodo più buio della storia del paese, della famiglia e della sua vita. Così dopo anni di tribolazioni e dopo la prigionia in Germania, tra cui il campo di concentramento di Buckenwal, ritorna finalmente ad Aliano, vestito di stracci ed  incredibilmente a stento riconosciuto dai suoi che lo credevano ormai morto.

Ancora una volta rinascono speranze e si ipotizzano strade da intraprendere, ma tutto è così difficile! Non c'è lavoro e non ci sono soldi ed a tutto ciò si aggiungono incomprensioni e atti di malafede. In paese tutti gli apparenti equilibri si erano spezzati; anche l'americano arrancava appena. In casa Garambone le cose andavano ancora peggio; il nonno Antonio non faceva che sottolineare l'inutilità di quella guerra e del regime fascista, che aveva condotto l'Italia alla rovina più totale. I reduci della prima guerra mondiale assumevano atteggiamenti irriverenti ed offensivi per chi aveva perduto la guerra e la gente sembrava essere diversa. Non si intravedeva una via di uscita. Che fare?. Ormai non si poteva più aspettare e, tanto meno, non si poteva più immaginare un aiuto dall'americano e dalla sorella Donata. Forse la soluzione era emigrare. Si, emigrare come avevano fatto tanti prima di lui. La storia si ripeteva, ancora, inesorabilmente senza soluzione di continuità. Ancora una volta si dovrà lasciare la propria terra, i proprie affetti, la propria casa ed andare lontano, nel nuovo mondo; in un altro mondo per ricominciare tutto da capo! Ma l'amore che nuove l'umanità, non muore con la stoltezza delle azioni nefande ed ottuse degli uomini ed è l'unico a ridare vera speranza e passione alla vita. Maria era diventata una donna e Vincenzo che aveva visto mezzo mondo ed incontrato miglia di persone e vissuto mille situazioni incredibili ed inenarrabili sprofonda nella lieta, semplice e genuina vita di quella ragazza, lasciata sola dai suoi ma caparbiamente capace di rinascere come lui.Nel Maggio del 1947, Vincenzo e Maria si sposano tra la gioia di tutti i parenti ed amici. Maria esce dalla casa che per quasi quindici anni l'aveva ospitata e protetta; lascia la sua stanza al secondo piano, dove aveva cullato mille sogni aspettando e sperando.Ora la sua vita è con Vincenzo e vivono per qualche tempo nella casa in Via Roma, la casa del padre Pierluigi, ovvero non proprio sua, visto le infinite pendenze che vi gravavano su di essa e che poi verranno riscattate dai sacrifici, anch'essi infiniti, in terra straniera. Ebbene si, anche Maria e Vincenzo, decidono di emigrare in Argentina, chiamati dal padre di Maria, nonno Pierluigi Donnadio, il quale come già anticipato, in quella terra, si era rifatto una vita risposandosi ed avendo un figlio, Eduardo.

I miei genitori decidono di partire  per l'America del sud, nella primavera del  1949, dopo due anni di matrimonio ed un figlio perso per parto, nel quale mia madre avrebbe rischiato di morire;  l' aveva salvata la penicillina, portata dagli americani, che mio padre riuscì ad avere a Matera dopo indicibili peripezie. Dal porto di Napoli, destinazione Buenos Aires, salpano con una carretta del mare, la “Santa Fè”, di una anonima compagnia di navigazione. I risparmi e qualche debito basteranno appena a pagare i biglietti. Una nuova traversata avviene e una nuova storia inizia e se vogliamo si ripete.

Dopo quasi un mese di navigazione in prossimità del  Brasile una terribile tempesta imprigiona la nave in balia delle onde; il piccolo ex mercantile, adattato a nave passeggeri, è in difficoltà al punto che nemmeno  il personale di bordo riesce a tener testa alle necessità. Mio padre, insieme a tanti altri uomini, quasi tutti reduci della guerra, viene precettato dal capitano per soccorrere e aiutare i marinai nelle operazioni di emergenza; soprattutto migliorare la tenuta dei bagagli nelle estive e pompare l'acqua da esse. Dopo 48 interminabili ore, la tempesta si placa e si intravede ormai all'orizzonte la costa del Sud America e precisamente Santos do Brasil.

Finalmente a Buenos Aires, finalmente l'incontro col padre. Maria praticamente incontra per la prima volta il padre, la seconda moglie di lui ed il figlio Eduardo. La nuova vita a Buenos Aires è da subito in salita; praticamente non hanno o quasi dove dormire, ma pur tra mille difficoltà ce la fanno, soprattutto grazie al mestiere di mio padre che inizia a lavorare dai fratelli Fontana, un calzaturificio artigianale di grande fama.

Mio padre diventa in breve tempo capo settore dell'area scarpe su misura interamente fatte a mano; dopo qualche si mette in proprio ed acquista una casa ed una bottega tutta per lui. Gli anni passano e nel '51 nasco io ed ovviamente, finalmente, la famiglia trova una più forte motivazione esistenziale. Mia madre, purtroppo, in seguito scoprirà di non poter avere altri figli. 

Vincenzo e Maria a Buenos Aires

La famiglia Garambone in Argentina

  

Altri anni trascorrono ancora tra avvenimenti importanti, come la fine del peronismo e l'inizio di una fragile economia e democrazia; ma come si sa durerà poco e male.

Nel '63 muore il nonno Antonio e lo zio Luigi (l'americano); quasi subito dopo la zia Donata inizia a scrivere più frequentemente, a causa della volontà testamentaria dello zio Luigi che, praticamente, dispone che ogni suo bene venga lasciato, alla morte della moglie Donata, a mia madre considerata come una figlia.

La zia Donata prega, anche, il fratello di tornare in Italia per poterla accudire in vecchiaia. Si pone soprattutto una questione morale ed a casa non si dorme più. I miei sono combattuti da mille timori ed incertezze  soprattutto legati a me che avevo appena 13 anni.

La situazione in Argentina precipita sempre di più; l'economia e la politica malferma invogliano mio padre a fare ritorno. Alcuni amici italiani, frequentatori dell'Italia, raccontano di una forte crescita economica e parlano di boom degli anni '60.

Nel Marzo del '65 i miei decidono di ritornare in Italia. Si concluderà così un altro ciclo di emigrazione; questa volta dall'America del sud. La casa dell'americano accoglierà tra le sue mura un altro figlio ed un'altra figlia ma questa volte ci sarà  un testimone in più di questo passaggio, il sottoscritto.


 

Tra la notte del 26 e 27 Marzo 1965, insieme ai miei genitori, partiti 16 anni prima per l'Argentina destinazione Buenos Aires, sono arrivato ad Aliano, nella casa della sorella di mio padre, zia Donata e di zio Luigi, detto l'americano.

Potevano essere circa le tre di notte, quando scendemmo dalla macchina che da Napoli ci porto fino ad Aliano; era stato un viaggio interminabile, se penso che eravamo partiti l'otto Marzo dal porto di Buenos Aires, imbarcandoci sulla Giulio Cesare.

Il paese era addormentato e le poche luci che illuminavano le strade nascondevano case, piazze e vicoli. Ci infilammo nel portone e zia Donata, insieme a mamma e papà, mi indicarono la strada.

Ero un ragazzo di appena 14 anni, compiuti durante la traversata atlantica, e comprendevo appena quei sorrisi, singhiozzi ed abbracci che i miei genitori manifestavano di continuo nei confronti di mia zia ed, io, in un cantuccio della cucina aspettavo di andare a letto; non desideravo altro.

La zia aveva preparato e messo a nostra disposizione, come sistemazione provvisoria,  il suo lettone matrimoniale. Mi infilai finalmente sotto le coperte in mezzo ai miei genitori e cercai di addormentarmi, tra i commenti dei miei ed i primi rumori che provenivano dall'esterno; erano rumori strani alle mie orecchie tranne il vocio di qualche passante. Come Dio volle mi addormentai sprofondando nel materasso di lana e avvolto da biancheria profumata di lavanda, però non capivo perché rumoroso; sentivo un rumore, ad ogni mio movimento, tipico delle foglie secche calpestate!

Alle sette del mattino dei forti rintocchi di campane, provenienti dalla Chiesa Madre situata a poca distanza dalla nostra casa, mi svegliarono quasi di soprassalto.

Anche se abituato alla rumorosità della città di Buenos Aires, quelle campane erano si assordanti, ma di una tonalità gradevole, quasi dolce. I primi raggi di sole penetravano attraverso i vetri della stanza accanto e sentivo i passi e le voci dei miei; ero rimasto da solo in quel monumentale letto di nichel ed ottoni. Scrutai con curiosità quanto era contenuto nella stanza e con un balzo mi decisi ad alzarmi, non senza provare, però, un certo disaggio pensando, soprattutto,  a cosa dovevo fare e peggio ancora cosa dovevo dire, visto il mio malfermo italiano; solo qualche mese prima avevo ottenuto la licenza elementare dopo un corso presso la scuola italo – argentina “Cristoforo Colombo”.

Quando giunsi in cucina, dopo aver attraversato la stanza da pranzo, praticamente facendomi guidare dalle voci che da essa provenivano, mi ritrovai la mamma che con un grande abbraccio mi accolse e mi presentò ad alcuni parenti già in visita di cortesia.

Il clima che regnava in cucina era di estrema cordialità, tutti volevano dire e sentire qualcosa , degustando caffè, liquori e pasticcini vari. Io non riuscivo a capire e seguire i loro discorsi e come un ebete sorridevo a tutti e mi facevo abbracciare e baciare da tutti.

Ma la mia curiosità più grande era quella di vedere il mondo esterno! Con una scusa mi allontanai per affacciarmi al balcone e scrutare così quello che, forse, avevo immaginato.

La mia vita stava per ripartire e le esperienze che avrei fatto in seguito, tra speranze e delusioni, mi avrebbero segnato profondamente.

Quando per la prima volta varcai il portone di casa immaginando, a dir il vero senza un eccesso di fantasia, di entrare in una nuova dimensione mi accorsi immediatamente di essere caduto in un tempo ed uno spazio molto lontano dalla mia, fino ad allora vissuta, dimensione.

L'età e la curiosità mi spinsero senza difficoltà ad iniziare la mia esplorazione. Tutto era nuovo e diverso e benché informato dai miei, in tanti anni di accorati e sinceri racconti, nulla era veramente corrispondente alla realtà che, invece, stavo per vivere.

Stavo per iniziare a vivere, anch'io, una condizioni simile a quella di un emigrato al contrario, ovvero una condizione di figlio di emigrati nella terra  dei suoi cari.

Qualche anno dopo, leggendo il “Cristo si è fermato a Eboli”, avrei fatto anch'io una specie di esperienza particolare e direi molto simile, per certi versi, a quella di Carlo Levi, anche se non da confinato.

Forse mi sono fatto trasportare dai ricordi e dai sentimenti ma la casa dell'americano, rappresenta sopratutto per me un punto di arrivo e di partenza; un'isola  forse dove regnano ricordi e momenti vissuti fatti di speranze e delusioni, sofferenze e gioie.

Questa casa ora insieme alla mia famiglia la vogliamo far diventare luogo d'accoglienza e condivisione di queste testimonianze, speranze e delusioni, credendo fermamente che la vita è stata e sempre sarà fucina di esperienza.

 

Benvenuti!